lunedì 7 marzo 2011

Idroscalo: amarcord chiuso nel guscio


Mi scuso in anticipo. Non è affatto mia intenzione risultare noiosamente scontato, inutilmente romantico, fastidiosamente melenso, ma non posso fare a meno di mettere nero su bianco alcuni pensieri che vanno molto di moda. Lo so bene, è come accodarsi a un carrozzone e la cosa non mi piace. Tuttavia, l’esperienza amarcord che ho vissuto ieri mi ha lasciato qualche “spina”. E ne devo parlare per esorcizzarne il fastidio. Tutto comincia da qui: dopo dieci anni sono tornato all’Idroscalo.



Reginetta dell'Idroscalo, aprile 2001

Non c’entrano gli enduro, le gare, le manifestazioni. L’ultima pescata fatta me myself and I all’Idroscalo risale all’aprile 2001. La ricordo bene perché si concluse con la cattura di una carpa mignon che mi ha fatto dannare l’anima per portarla a riva. In questo periodo della mia vita in cui me ne stanno succedendo di tutti i colori mi sono aggrappato alle cose belle, e tra queste ovviamente ci sono i ricordi: come è calda e rassicurante la sensazione del “già vissuto”! E così ho fatto un salto negli uffici della Provincia di Milano, ho chiesto il tesserino Idropark per il 2011 e da quel momento è iniziato nella mia testa una specie di tormentone: tornerò a pescare all’Idroscalo. A questo punto entra in gioco il pescatore che è in me. Non mi va assolutamente di andare a casaccio. Posso certamente fare affidamento sulle esperienze passate, ma sono datate e ormai forse prive di qualsiasi valore. Conosco abbastanza bene spot e strategie vincenti nelle gare, mi rendo conto però che sono ovviamente inapplicabili nelle sessioni giornaliere. Purtroppo non ho nemmeno contatti con qualcuno che ci peschi abitualmente: l’Idroscalo è uno spot che nella mia sede (quasi) nessuno frequenta e – diciamocela tutta – è abbastanza snobbato da noi baùscia, perché non ci possiamo fare la notte, non possiamo mettere le tende e, soprattutto, non è così facile prendere le carpe grosse. Aggiungiamoci poi che non ci è consentito metterci dove vogliamo a causa di un regolamento molto restrittivo e abbiamo il risultato: un bacino potenzialmente generoso ma non sfruttato a dovere. Faccio allora l’unica cosa che un “pescatore modello” può fare: un giro, anzi due, di perlustrazione.


Il primo risale a tre settimane fa. Con l’utilissimo Starsky (il mio cane) e i fedeli polarizzanti cerco di mappare quelle sponde a me già note, ma che sembrano in parte nuove. È qui che iniziano i primi pruriti. Quanto è cambiato il lago! Lo dico tra me e me osservando le sponde, sempre più curate, i cartelli informativi, la sponda ovest con la balaustra in legno, l’area cani che si apre sull’acqua e la struttura per i divertimenti estivi di cui ho visto personalmente l’inizio dei lavori, ormai un decennio fa. Mi stupisce poi la quantità di persone che passeggia, corre, fa stretching o schizza via sulle biciclette: è una giornata fredda, tra poco pioverà, siamo nel bel mezzo della settimana in orario di lavoro, eppure il lago è quasi pieno. Forse è giornata particolare.

Qualche giorno dopo, eccomi di nuovo lì. La prima perlustrazione è andata male per obiettivi limiti atmosferici: troppo freddo, come pretendevo di vedere le carpe con quelle condizioni a metà febbraio? Allora ho aspettato una finestra di sole e ci sono tornato. Questa volta sì, le ho viste, in un punto dove le vedevo anche dieci anni fa. Allora non è cambiato tutto. Quelle piccolette mi hanno comunque dato lo spunto per farlo davvero, questo benedetto ritorno all’Idroscalo. Riscaldato nella convinzione anche da uno splendido sole, decido di girare quasi tutto il bacino per cercare ancora nuovi particolari. La postazione dove ho preso la mia prima carpa con la tecnica del carp fishing oggi non c’è più. O meglio, lo spazio c’è ancora, ma il cemento è stato ricoperto di terra e di erba e l’accesso all’acqua è chiuso da qualche alberello. Non sono più venuto a trovarti e la natura si è impossessata di te. Al posto della strada sterrata oggi c’è una solida e pulita passerella di mattoni. In acqua un lungo cavo permanente con le boe divide il bacino in due parti. A sud sono posizionati i blocchi di partenza per le canoe. Di pescatori neanche l’ombra: eppure è una bellissima giornata per pescare, ed è venerdì pomeriggio, possibile che nemmeno un pensionato appassionato abbia deciso di sfruttarla?

Ma quanta gente... Ciò che è davvero cambiato è la quantità di fruitori dell’Idroscalo. Forse mi sbaglio e sto ingigantendo tutto, ma dieci anni fa non era così. Certo, non era un bacino tranquillo, se avevi bisogno di staccare la spina da tutto e da tutti dovevi andare altrove, ma cercando bene era possibile trovare un po’ di quiete. Lo sto pensando ora, seduto vicino alla mia vecchia postazione, con gli inneschi posati sul fondo in un canalone. Saranno passati appena quaranta minuti da quando sono qui e già ho salutato almeno dieci persone che si sono fermate a chiedermi se ho preso qualcosa. Altre mi hanno invece raccontato dei loro trascorsi di pescatore, altri ancora hanno voluto sapere di tutto e di più sulla tecnica: «Cosa sono quei cosi che si illuminano e suonano?». Altre ancora si sono lamentate del fatto che “non ci sono più i pescatori di una volta”. Reggerò tutto il giorno?

Eppure il lago continua a esercitare il suo fascino su di me. L’acqua azzurra che sfuma nel verde, il fondale irregolare, il passaggio di qualche predatore a pochi centimetri dai miei piedi che lambiscono appena l’acqua. Il vero problema? Vorrei nascondermi ma non posso. Se sto in piedi, sono un bersaglio facile. Se sono seduto sull’erba, è ancora più semplice braccarmi per condividere qualsiasi cosa con me, che in questo momento sono stufo e non voglio condividere niente. Vorrei condividere qualcosa con qualche pescatore “vero”, ma l’unico che c’è è un altro carpista nella darsena, a centinaia di metri da me. Lui sì che sta meglio, perché è in un punto meno esposto al “fiume” di gente lungo il sentiero intorno al lago. Se mi vedessi da fuori, penserei quanto sei ridicolo! nel momento in cui mi siedo con la schiena contro l’unico riparo a disposizione, ovvero un cubo di cemento da cui partono alcuni cavi che si perdono nelle profondità. Lì trovo un po’ di pace, mi possono vedere ma non raggiungere, perché altrimenti si infangano le scarpe. È in quell’angolo di sponda che posso finalmente stare solo con l’acqua, entrarvi in sintonia. È solo in quel momento che mi riesco finalmente a rilassare. E siamo già a mezzogiorno.

Rimango immobile nel mio rifugio per tutta la giornata, rilanciando gli inneschi una sola volta sola nei punti in cui pescavo dieci anni fa. Riesco a dormire un pochino, anche se la gente non se ne accorge perché ho gli occhi nascosti dai polarizzanti. Bip. Bip. Ma non è l’avvisatore. È l’ennesimo runner con il cardiofrequenzimetro-cadenzometro. Ma com’è sportiva Milano. Poi il ponte trema, passa una bici, poi ecco uno con lo skate, infine i roller blade. Con queste vibrazioni non prenderò mai nulla. Un bambino urla, la mamma lo insegue. Un altro con la bici rischia di finire in acqua ma per fortuna si schianta contro una pianta. Si è distrutto i pantaloni, strepita, la mamma urla e il papà gli tira due scappellotti. Non sarà mai un pescatore. Splash, penso sia il tonfo di una “lavatrice” – chiamiamo così le grosse carpe – invece sulla destra scorgo un Labrador che insegue una pallina lanciata dal padrone. Ho pasturato coi Frolic, vuoi vedere che ora si immerge? Latrati, abbai, ringhi: sulla sponda opposta l’area cani è piena. Parte una musica e inizia anche il corso di educazione dei terranova. Sull’acqua il capovoga urla ai suoi rematori di non fare le femminucce e di spingere per altri cento metri. Un allenatore segue due kayak e sbraita a epiteti impronunciabili, facendo rombare il motore a scoppio della barca. Un vecchio canoista spunta da sotto il ponte alla mia destra e rimprovera la moglie perché, a suo dire, non sta andando dritta e sta usando troppo il remo di destra. Una barca si dirige verso di me. Vuoi vedere che ora mi fanno il culo perché sono seduto contro il cubo di cemento? È sempre più vicina, si tratta di un pattino di salvataggio guidato però da un lifeguard non troppo esperto. Una donna, sembra. Arriva a dieci metri dalle mie canne e con una remata potrebbe prendermi il filo. Sto per dire qualcosa, ma questa si gira e torna indietro, mentre l’istruttore le urla di aumentare la cadenza e di tornare al più presto sulla sponda opposta. Quanto vorrei essere uno di quei lucci che mi son passati davanti, per rintanarmi sotto i rami e aspettare l’arrivo della sera!

Un incubo, insomma. Un incubo tutto interiore, esclusivamente mio. Non soffro di agorafobia, in genere: ne soffro quando sono a pesca. Mi sono accorto di non sopportare gli spot affollati – soprattutto di non addetti ai lavori – perché per me la pesca ha inconsciamente il valore del contatto più puro e semplice possibile con la natura. È avventura, non necessariamente estrema, ma fondamentalmente è il risultato dell’addizione “me più acqua più pesce più piante, più odore del tereno, più silenzio”. Semplice, no? Proprio qui sono scontato, nel voler fare il lupo solitario. Va tanto di moda oggi. Ma si badi bene: il mio sfogo non si traduce assolutamente in un’affermazione di superiorità. Tutt’altro! Mi piacerebbe davvero essere più “PR” e meno “orso” nei miei atteggiamenti sulle sponde. Proprio come quel carpista che, con un semplice gesto di saluto, una mano alzata, un sorriso e una domanda semplicissima, ma posta in modo inusuale – «Fish?» – mi ha riportato alla realtà, facendomi passare dieci minuti di “socialità” tra pescatori, come piace a me.


Ok le paranoie, ma la pescata? Niente catture, nonostante la giornata quasi primaverile, con acqua a 8 gradi e temperatura media esterna di 12-13 gradi. Né nella mia zona, né nella darsena. Ma non importa, perché tutto sommato è stata una giornata positiva. Alla guida dell’auto ripenso all’acqua blu-verde dell’Idroscalo, mi sembra ancora di percepire l’emozione di quella prima carpa, di vedere il pod con un avvisatore solo – perché l’altro mi si è rotto subito, appena acquistato, ed era in assistenza – tremare sotto i sussulti della canna che vuole essere strappata via, di sentire la frizione che stride e fatica a tenere quella trazione troppo forte per lei. I colori, gli odori, i rumori sono gli stessi. Solo che mi è toccato condividerli a forza con persone che non ne erano minimamente interessate. Una bella scocciatura. Per me, si intende.

1 commento:

Maury ha detto...

Ah ah ah ah ah..... Pab, tutte ora in un colpo solo! Mi hai fatto morire dalle risate. Meglio delle comiche.
Un giorno ti racconterò di "quel posto" dove c'è pure la gente che ti appplaude quando tiri su un pesce.
Bella la pesca lontano dal caos.... ;-)