venerdì 1 aprile 2011

Più pancia, meno testa


Noi carpisti spesso non afferriamo molte occasioni a causa di un piccolo difettuccio: ragioniamo sempre sulla base di approcci standard e usiamo poca fantasia. Preferiamo lasciarci guidare dall’esperienza e dalle tecniche “classiche” dimenticandoci di quanto, a volte, possa essere vincente seguire i suggerimenti della pancia. Prendiamo come esempio la pesca nei grandi laghi. L’approccio più o meno è questo: si trova una postazione sulla base degli spostamenti stagionali delle carpe o delle informazioni che abbiamo a disposizione, si scandaglia la zona cercando sempre gli scalini, le buche, le secche, i vecchi letti di fiumi e le zone a fondale duro, si cala la lenza (raramente la lanciamo) aiutandosi con l’ecoscandaglio e si pastura coprendo un’ampia superficie soprattutto con palline di grosse dimensioni, perché quelle piccole non vanno bene a causa della minutaglia. Questi “passi” standard hanno fatto e faranno catturare ancora migliaia di carpe ma non vincono sempre. Noi non ce ne rendiamo conto perché siamo troppo pigri per metterli in discussione.

Il secondo esempio che vorrei proporre è ancora più illuminante del primo perché vissuto in prima persona pochi giorni fa. Pensiamo al classico approccio di pesca in fiume. Il pescatore cerca la postazione più idonea per la stagione tenendo conto del livello del corso d’acqua, della corrente e delle rotte delle carpe: ecco allora che troviamo sempre qualche carpista nelle curve, nelle buche, nelle “piscine” e, infine, nelle lanche. Poi arriva la fase più dispendiosa, ovvero la pasturazione. Nei fiumi di una certa portata – in questo caso sto parlando del Ticino – è impensabile iniziare una sessione di pesca con un solo chilo di boilie al seguito. Ci vogliono chili e chili di granaglie, di pastura e, ovviamente, di palline profumate. E qui si completa il secondo passo standard: con fionda e cucchiaione si crea un “fondo” con le granaglie e con la pastura idoneo a bloccare le carpe che, nomadi come sono, difficilmente si fermano in un punto preciso per troppo tempo. Ecco allora che si lanciano inneschi generosi, con ami grandi e finali robusti per essere sicuri di vincere la battaglia con carpe che sprigionano una potenza doppia rispetto a quelle di acqua ferma. Anche in questo caso le catture il più delle volte non mancano, ma siamo sicuri che sia sempre l’approccio più corretto?



Pochi giorni fa ho scoperto grazie all’amico Gianluca che ragionare per approcci standard è sbagliato. E che chi ha coraggio di rischiare, con un po’ di fantasia e un po’ di pancia, a volte sblocca situazioni che paiono inestricabili. Per esempio: voi affrontereste mai il Ticino con un terminale in treccia morbidissima da 20 libbre, innescato con un amo numero 6 e una pop-up da 14 millimetri staccata di 15 centimetri dal fondo, lanciato a filo di corrente? Gianluca l’ha fatto e ha ottenuto in meno di mezz’ora due catture. Io, invece, continuando a fare solamente piccole variazioni sullo spartito classico, sono rimasto a bocca asciutta. E ho fatto anche un bel bagno di umiltà perché, vedendo l’innesco dell’amico prima del lancio, ho pensato “questo è pazzo: usa un approccio da laghetto pressato per affrontare le bestie del Ticino”. Ha avuto ragione lui, e non è la prima volta. Pochi giorni fa Oliviero Toscani in un’intervista ha dichiarato che secondo lui la vera creatività va cercata nei paesi africani, dove le difficoltà spingono l’uomo ad avere più coraggio. In Italia, invece, siamo troppo “coccolati” e non riusciamo più a cedere alle tentazioni della fantasia. Forse è ora di cominciare a pensarci, anche solo partendo sa un semplicissimo hobby...

1 commento:

Maury ha detto...

Il mondo è nelle mani di chi sa cambiare, in tutte le cose. Ciao!