lunedì 30 maggio 2011

L'inconsapevole libero arbitrio del pesce


Ripetersi non è mai facile. Nella pesca, poi, è quasi impossibile: la bravura e l’esperienza contano un sacco, ma condividono con la fortuna lo spettro delle possibilità. Non so quantificare la fetta che ognuna di esse possiede, ma per comodità mettiamole a confronto a un livello paritario: cinquanta e cinquanta, metà bravura e metà fortuna. Difficile contraddire ciò parlando di uno “sport” in cui le prestazioni si misurano e si quantificano non solo sulla volontà di chi compete e sulla sua preparazione – come potrebbe essere per una gara dei 100 metri piani – ma anche sulla “collaborazione” di soggetti terzi, ovvero i pesci, con il loro inconsapevole libero arbitrio. Sono appena tornato dall’edizione 2010 dell’Enduro Benefico del Lago Isola del Pescatore, organizzato questo weekend dalla sede Cfi Torino Nord-Ovest per devolvere fondi a SoleTerre, un’organizzazione che si sta occupando dell’assistenza ospedaliera in Ucraina ai bambini colpiti da tumori e leucemie. L’anno scorso ho avuto la grande fortuna di vincere questo enduro e sapevo che sarebbe stato impossibile ripetermi. Ci abbiamo messo tutta la bravura e la convinzione in nostro possesso, ma è stato grazie alla fortuna che io e il mio socio per l’occasione, Silvio, siamo arrivati terzi nell’edizione di quest’anno. Il post non vuole essere un’assurda lode alla mie prestazioni carpistiche. No: ciò che stai per leggere è ciò che abbiamo fatto, dalla teoria alla pratica. Perché è stata una sfida difficile e ogni pesce che abbiamo presto è stato letteralmente “sudato”. Se non ci credi, leggi fino in fondo...

La sorte ci ha portato in dote la postazione numero 17. E diciamo che è stata molto benevola, perché chi era qui lo scorso anno ha fatto il secondo posto: essendo stati estratti per penultimi, le cose sarebbero potute andare molto peggio! Abbiamo davanti a noi un’ansa non troppo estesa e abbastanza “chiusa”, caratterizzata da un buon transito di carpe dovuto, con tutta probabilità, alla presenza di fitte legnaie nella sponda a sinistra. Al posto di ingarbugliarmi con le parole, meglio vederla. Eccola qui sotto, con il solito consiglio: per vedere le foto in formato più grande è sufficiente fargli un click sopra.



Le frecce rosse danno un’indicazione precisa di quello che è il nostro primo impatto. Dall’esperienza dello scorso anno sappiamo che il “giro” delle carpe è questo: dal lago “aperto” si spingono verso l’ansa costeggiando la punta su cui c’è la postazione numero 18. Dalla legnaia, poi, escono per ritornare verso il lago aperto. A questo punto passiamo al secondo livello di analisi dello spot, ovvero quello post-plumbing.



La zona A è caratterizzata da uno strato spesso e morbido di fango molto puzzolente. Piombi da 120 grammi affondano per parecchi centimetri e perfino le pop-up staccate di un palmo dal fondale ne assumono l’odore. Da un lato la zona è interessante perché rappresenta il punto di ingresso delle carpe nell’ansa; dall’altro la presenza di fango maleodorante non ci piace affatto. La zona B, lo sappiamo, sarà l’hot spot nello spot perché è a ridosso delle legnaie. In superficie ci sono i pesci, sul fondo invece c’è uno strato di melma più duro e sottile rispetto alla zona A. E, soprattutto, non puzza. L’unico grattacapo è dato dal fatto che i pesci sono a galla, mentre gli inneschi staranno 3,5 metri sotto. La zona C è invece caratterizzata da fondale durissimo formato da ciottoli di diverse dimensioni. In particolare nel tratto che va a coincidere con la zona B: il piombo recuperato nel plumbing fa veri e propri saltelli in corrispondenza di ogni ciottolo. Punto interessante, ma c’è il rischio che le esche spariscano tra le rocce, e siccome durante la gara c’è un limite di pasturazione, non possiamo rischiare di buttarne via troppe. Infine c’è la zona H. Qui abbiamo a che fare con un fondale che dalla piattaforma galleggiante digrada abbastanza velocemente da 3 fino a 5 metri in corrispondenza della punta della postazione 18. Fondale di melma duro si alterna a fondale molle e puzzolente. Una precisazione: la nostra sponda è quella più ossigenata del lago grazie ad alcuni tubi che gettano acqua pulita e fresca. Dove pescare, allora? Iniziamo a capire qualcosa di più partendo dai punti in cui non ci è consentito lanciare gli inneschi.



Da X alla sua destra non possiamo lanciare perché ci sono i ragazzi della posta 18 che lanciano una canna sottoriva alla base della lingua della punta: che facciamo, gli lanciamo in testa? Meglio di no. In corrispondenza di XX c’è un angolo con una grande legnaia (e con le carpe in mezzo). Zona succosa, vero? Eppure ci sono due problemi: il succitato fondale molle e la distanza. Siamo infatti a un’ottantina di metri dalla postazione, con buoni lanci lì arriviamo, ma il recupero? Ecco allora che entra in gioco XXX, ovvero la piattaforma galleggiante. Quest’ultima è tenuta fissa al fondo da un cavo d’acciaio in corrispondenza delle prua della barca ad essa ancorata. È per questo motivo che non possiamo pescare in XX e in nessun punto dietro XXX: sarebbe troppo rischioso per l’incolumità delle carpe con cui avremo a che fare, di certo non caratterizzate da stazza da pool inglese, quanto piuttosto da grande lago francese. Una carpa presa in XX troverebbe riparo facile in XXX o nelle legnaie retrostanti, con buona pace della Power Pro da 50 libbre in bobina...



Ecco allora che iniziamo la pescata come ben descritto nella foto qui sopra. Silvio mette due canne in corrispondenza della legnaia (numeri azzurri). Io pesco invece davanti alla piattaforma (numero 3 giallo) e scaravento la seconda canna (numero 4 giallo) poco oltre la metà dell’ansa. A sera metto la canna sottoriva (4bis), pescando con una poppy su un letto di canapa: voglio un amur. Per iniziare pasturiamo poco: sacchettini di Pva con sbriciolato e pellet, qualche pallina lanciata con il cobra e una cucchiaiata di granaglie per canna in corrispondenza di 1 e 2. Il motivo è semplice, ma te lo svelerò fra qualche riga. Prima vorrei concentrarmi sul rompicapo della pesca nelle legnaie. Ecco una foto che spiega le difficoltà che abbiamo dovuto affrontare:


La X più grande delle alte segnala la zona totalmente off-limits per colpa della piattaforma. Il diavolo tenta, ma l’angelo pescatore non ci casca. Le X piccole, invece, segnalano i punti in cui è impossibile pescare a causa dei tronchi sul fondo. Come si può ben vedere, l’albero caduto in acqua al centro della sponda è molto lungo. Le O azzurre segnalano invece i punti sgombri, dove Silvio ha lanciato le canne con un margine di sicurezza tale da garantirci la percentuale più alta possibile di carpe a guadino. Pescare ancora più vicino a riva non sarebbe stato “etico” per il semplice fatto che eravamo troppo distanti – almeno 60 metri – dalla zona di pesca. Treccia o non treccia, le carpe avrebbero avuto troppo margine per infilarsi tra i legni. Torniamo allora alla strategia e al motivo per cui abbiamo pasturato poco. Eccolo:


Carpe e amur prendono il sole in superficie tra i rami caduti in acqua e poco oltre. I pesci ci sono già, non dobbiamo attirarli: pasturiamo poco perché non vogliamo disturbare una zona dove nessuno rompe mai le scatole alle carpe. Cosa significano NO e SI’? In poche parole, con NO segnalo i punti dove durante il primo giorno e la prima notte non abbiamo visto attività. Con SI’, invece, segnalo l’hot spot di tutta la sessione, ovvero quello che ci ha permesso di prendere le carpe. Come si può ben vedere riosservando la foto precedente, è il punto in cui l’innesco poteva stare più vicino alla riva.


Silvio scappotta a sera con un innesco di doppia pop-up. Il combattimento è tiratissimo. Dopo una carpa slamata, ci accorgiamo che dobbiamo fare solo una cosa: al primo bip dobbiamo afferrare l’attrezzo, ferrare forte e indietreggiare inesorabilmente per girare la testa al pesce. Terminali e lenze reggono, il trucco funziona: Silvio è un carpista contento, adesso.


Durante la giornata abbiamo attività solo nella zona in cui pesca Silvio. Tutto il resto è dead zone. Decidiamo così di condividere lo spazio e concentrare tutte e quattro le canne nello stesso settore. Sembrerà una scelta assurda, ma in realtà ci siamo arrivati per esclusione. Primo, il nostro sottoriva non ha funzionato. Purtroppo siamo in una postazione stretta e con un viavai intenso di persone: e questo, si sa, non piace ai pesci, nemmeno agli ingordi amur. Secondo, in tre giorni non abbiamo visto bollicine salire dal fondo in nessun punto davanti a noi. Mentre sono riuscito a vedere addirittura una partenza in diretta su una canna di Silvio davanti alle legnaie – treni di bollicine che si spostavano sempre più inesorabilmente verso l’amo – nella zona H non abbiamo potuto apprezzare che qualche salto. Ci è stato chiaro fin da subito che le carpe entrano nell’ansa passeggiando a galla o a mezz’acqua, per spostarsi sul fondo solo quando arrivano vicino ai legni. E non c’è canapa che tenga.


Nella foto qui sopra ecco in controcampo la disposizione delle canne...


... e in questa il mix di esche che abbiamo usato per attirare i pesci. La canapa e i pellet oleosi sono stati fondamentali per far sì che qualche baffona abbandonasse la superficie per fare uno spuntino sul fondo. Apro una piccola parentesi. Il settore, è innegabile, era pieno di potenziali prede. Il nostro risultato può quindi apparire misero rispetto alle possibilità. In realtà le carpe fare mettere il “muso giù” alle carpe è stata impresa difficile. Per esempio, era pieno di amur, pesce solitamente vorace, ma non siamo riusciti a incocciarne neanche uno nonostante la canapa e il mais. I pesci non erano in frega, anzi, l’avevano già finita perché nessuna cattura presentava latte o uova, ma a quasi tutte mancavano squame oppure la pelle era rigata in corrispondenza del ventre. La legnaia vicino a cui abbiamo pescato è semplicemente una zona di tenuta dove solo pochi pesci mangiano. «L’anno scorso però qui hanno preso di più»: vero, verissimo, e conoscendo i pescatori che c’erano in questa posta (grandi Simone e Vito), so bene che la bravura ha giocato un grande ruolo. Ma sono convinto anche che, mentre l’anno scorso il pesce era quasi in frega, la primavera calda gliel’abbia fatta concludere prima in questo 2011. I pesci cercavano tranquillità, la nostra presenza gliela toglieva, e semplicemente dovevamo prendere quel poco che ci arrivava.


La foto qui sopra riassume com’è andata la nostra pescata. Abbiamo fatto tutto praticamente con una sola canna. Le altre sono state quasi a guardare. Tre i pesci finiti a guadino, tre quelli persi, fortunatamente solo uno per la rottura del finale. Colpa mia che mi sono intestardito a utilizzare il fluorocarbon.




Concludiamo quindi terzi con quasi 35 chili di pescato totale.


Un paio di osservazioni.

Siamo stati costretti a un tipo di pesca da duri perché non potevamo allontanarci mai dalle canne, che erano sui pod con le frizioni dei mulinelli (imbobinati con treccia), totalmente serrate. Diciamo che sono stati tre giorni abbastanza “tesi”.

Ci è stato consigliato di usare lo zig rig per “arrivare” alle carpe a galla ma abbiamo preferito soprassedere. Primo perché non sapevamo se fosse concesso dal regolamento. Secondo perché, nel momento in cui abbiamo deciso di confezionarne uno, i pesci hanno cominciato ad abboccare sul fondo.


Infine, un piccolo cenno ai terminali. Tutte le catture sono state fatte con rig bilanciati al grammo. A farla da padrone è stato il mais montato a trenino, seguito da pop-up bene ammollate. Curioso il paradosso: eravamo costretti a utilizzare finali da 50 libbre e ami grossi e spessi, innescati però con boilie da 15 millimetri o con granturco. Senza inneschi bilanciati ed esche piccole le carpe non partivano. Un po’ come correre il circuito di Montecarlo a bordo di un camion senza toccare mai le protezioni sul lato della strada.


Nota di demerito per me che ho perso due carpe su due. La prima si è slamata alla terza testata. La seconda alla ferrata perché ho usato il fluorocarbon. Errore fatale: il fluoro scoppia sulle trazioni violente. Sono stato ingannato dalla situazione, perché ho associato la grande quantità di carpe nel settore e i letti di pellet e di granaglie alla frenesia alimentare. Ho quindi scartato i materiali da finale morbidi ma dotati di grande carico di rottura per preferire il fluoro, che non si ingarbuglia mai nel lancio e quando i pesci fanno a gara per succhiare i chicchi sul fondo. Peccato che mi sia dimenticato della scarsa resistenza del “filo invisibile” alle trazioni violente. Pusiano docet: ma un anno fa, e me ne sono già dimenticato!

Lo dico senza problemi: è stato un enduro che mi ha fatto crescere, anche solo di pochi millimetri. Io e Silvio abbiamo passato tre giorni ad arrovellarci il cervello per scoprire la carta jolly e sbloccare la situazione. Ce l’abbiamo fatta, ma siamo tornati a casa con l’amaro in bocca per non aver preso dalla spot tutto quello che offriva (vedi carpe perse) e per non essere riusciti nell’impresa di far mangiare sul fondo tutte quelle enormi carpe a galla. Si sa com’è l’ambizione: inizi con una, ma poi le vuoi tutte. Peccato che non facciamo mai i conti con l’inconsapevole libero arbitrio delle carpe.


La pescata in 10 pillole:
1) Frizioni chiuse, lenze e finali tosti.
2) Ami grossi, esche piccole e bilanciate.
3) Pasturazione a base di granaglie e pellet.
4) Settore produttivo in un solo tratto.
5) D-rig, il montaggio vincente.
6) Tante carpe a galla tra i legni, ma meno dello scorso anno.
7) Tra le carpe a galla, due mastodonti (regina e specchi), abbondantemente over 20.
8) Tra le carpe a galla, una koi bianca le cui dimensioni tolgono il fiato.
9) Partenze solo la mattina o poco prima del buio. Di notte silenzio totale.
10) Dopo la ferrata, si cammina all’indietro con la canna alta per girare la testa al pesce.


2 commenti:

Maury ha detto...

E' bello vederti tornare a scrivere.
Il punto che mi è piaciuto di più?
"...è stato un enduro che mi ha fatto crescere, anche solo di pochi millimetri". E' una grande qualità e un tuo grande punto di forza.
Bravo Pab! A presto.

P.S. Secondo me, qualche innesco ben staccato dal fondo (quasi a galla) potevate provarlo. In certe situazioni può anche regalarti qualche bella sorpresa.

Il Menega ha detto...

Ciao Maury!
L'idea di provare qualcosa di molto staccato l'abbiamo avuta... per qualche ora una poppy è rimasta effettivamente a una trentina di centimetri dal fondo (perché mi ero dimenticato di bilanciarla, eh eh eh!)... per quanto riguarda zig e pesca a galla, essendo una gara comunque organizzata da una sede Cfi, non ce la siamo sentita di "sgarrare", perché alle semifinali dell'Idroscalo all'ultimo minuto è stata inserita la norma "anti-zig" dopo un consulto con il direttivo. Quindi, da buoni ospiti, abbiamo preferito non rischiare... PErò sai la soddisfazione: le carpe che abbiam preso sono state tutte sudatissime, la testa gliel'abbiamo fatta mettere giù noi... ah già, il libero arbitrio... ;)