lunedì 21 febbraio 2011

La ricerca del lato positivo


Non sto vivendo un periodo fortunato. È evidente. Dopo cinque mesi privi di stipendio ho finalmente deciso di abbandonare la nave, licenziandomi senza avere un’alternativa concreta in mano. Risultato? Disoccupato: giornate a spedire mail, a compilare ogni giorno un nuovo curriculum preparato di tutto punto per l’azienda da contattare, più le lettere di presentazione che non so più come scrivere, in attesa di vedere la casella di posta che si illumina per leggere… l’ennesimo messaggio pre-impostato che ti dice “La ringraziamo per l’attenzione, il suo curriculum è stato inserito nel database, la contatteremo qualora il suo profilo corrispondesse alle nostre necessità”. La verità è che in questi anni sono stato fortunato – ho fatto il lavoro che mi piace, con i colleghi e i maestri giusti e con uno stipendio basso ma gratificante – mentre la realtà che vivono tanti altri miei coetanei è quella che sono costretto a vivere io ora. Finalmente posso capire bene come stanno! Eppure non è che non faccia nulla, anzi. Tuttavia vivo bloccato e passo il tempo a guardare lo schermo del cellulare in attesa della chiamata giusta. Che al momento, ahimè, non è ancora arrivata. Il nocciolo della questione è che non mi godo niente, neanche le pescate. Mi sento in colpa per la situazione che sto vivendo e faccio fatica a sbloccarmi. Sulla mia pelle porto virtualmente tatuato il detto “sfiga chiama sfiga”.

Allora, il quadro di partenza è chiaro. Disoccupato, senza stipendio da settembre, privo di offerte di lavoro che non siano gratuite – è la moda del momento! – e così preoccupato per il futuro da non riuscire a vivere niente nel presente. Caro lettore, adesso puoi metterti nei miei panni. A questo punto, però, ti chiedo un ulteriore sforzo e di pensare a quello che ti sto per descrivere.



È sabato mattina. Finalmente ti sei deciso: vai a pescare con un amico che non vedi da tempo. Le previsioni sono ottime, danno sole costante e temperature anche sopra i 15 gradi. I pesci saranno già a cercare calore nel canneto e tu ti immagini davanti alla macchina fotografica con la tua bella carpona in mano. E invece no, ti devi ricordare che tu stai vivendo un periodo sfortunato e sfiga chiama sfiga. In serie: ti alzi presto la mattina per andare dal panettiere vicino a casa senza perdere tempo, ma il panettiere è chiuso per lutto; vai da un altro panettiere, quello in riva al lago, ma mentre stai uscendo dal parcheggio un automobilista distratto ti viene addosso e ti sfascia la fiancata sopra la ruota posteriore destra; constatazione amichevole e poi, per fortuna, si va a pesca, quando sono già le undici del mattino e dovresti già avere gli inneschi sul fondale. E invece no… inizi a pescare alle 13.30 perché nella postazione che hai scelto il pesce non c’è proprio ed è da tutt’altra parte; ma in quel punto non ci arrivi con l’auto e allora devi prendere la barca e caricarla, facendo un trasbordo di circa un chilometro; non è finita, perché nella postazione bisogna fare quindici metri in acqua prima di arrivare oltre la corona di canneti, e ovviamente non hai portato né wader né stivali tuttacoscia, così sei costretto ad aspettare che il fratello del tuo socio te li porti; poi vai per montare il picchetto e ti rendi conto di aver perso la testina del monkey climber – quella bellissima con la bandiera dell’Inghilterra – e sai che non la troverai mai più perché il piombo che le stava attaccato l’ha trascinata direttamente sul fondo; vabbé, poi inneschi, vai per lanciare le canne e ti rendi conto che delle carpe che avevi visto prima non ce n’è più neanche una: sparite; sei in pesca da un quarto d’ora quando arriva una barca dalla postazione a 300 metri da te che ti chiede se starai lì la notte perché ovviamente sei in un punto buono e lì ci devono calare le canne; va bene, la giornata passa e non senti un’abboccata che è una, anche perché un canoista “distratto” passa a 3 metri dal canneto e prende dentro due lenze su due del tuo socio – quelle che erano nei punti migliori – portando chissà dove gli inneschi: a quel punto maledici la tua giacca mimetica e ti chiedi se davvero sia così utile rimanere ultra-camuffato nell’ambiente; l’ora di andare a casa arriva troppo presto, perché sai che devi farti un chilometro di trasbordo con un motore elettrico sbilenco attaccato a una batteria che non sai nemmeno quando e quanto hanno ricaricato; fai di fretta, così di fretta che arrivi a metà viaggio, quando ormai il motore elettrico sta tossendo gli ultimi sussulti, e ti accorgi di aver dimenticato il giubbetto di salvataggio a riva; e poi al socio arriva una telefonata dal fratello che gli comunica che alcuni vandali gli hanno rubato il logo posteriore della Clio appena fatto verniciare di nero dal carrozziere. Non è proprio giornata, oggi.

Torni finalmente a casa. Dici “finalmente” perché sai che con la macumba che ti porti addosso rischi di fare del male a qualcun altro: sotto la doccia, invece, puoi fare del male solo a te stesso scivolando sul sapone. Poi però, goccia dopo goccia, pensi che la macchina si ripara, che dopotutto ti sono venuti addosso e non sei tu ad avere la colpa. La testina dello swinger si ricompra, magari non ora che il conto è secco come un uomo nel deserto a mezzogiorno, ma in un prossimo futuro sì. Il giubbetto di salvataggio in fin dei conti sei riuscito a recuperarlo e un cappotto è solo un cappotto: non pretenderai mica di prendere le carpe a metà febbraio in pieno giorno e con poche ore di pesca?

Insomma, bisogna cercare il lato positivo sempre, se non si vuole che la sfiga passi sopra la testa portandosi dietro il rimorchio di altre sfighe. Me l’ha fatto capire la sensazione di essere immerso nell’acqua fino a sopra le ginocchia, mentre guardo il canneto sull’orizzonte e, poco più in alto, il monte immenso puntellato da decine di parapendio colorati. Lì affoga la sfortuna, lì non sono un pericolo neanche per me stesso.

2 commenti:

Maury ha detto...

Caro Pab, un antico racconto cinese taoista, narra la storia di un contadino che viveva in povero villaggio di campagna.
Possedeva un cavallo, ma un giorno il cavallo scappò. Quando il vicino andò da lui e gli disse "che disgrazia!", il contadino gli rispose: "forse".
Alcuni giorni dopo il cavallo ritornò nel recinto assieme a due cavalli selvaggi e il vicino si rallegrò per la sua fortuna.
Ma il vecchio contadino rispose: "forse".
Il giorno dopo, il figlio del contadino, cavalcando uno dei cavalli selvaggi, cadde e si ruppe una gamba. Il vicino manifestò il suo dispiacere, ma il contadino disse: "forse".
La settimana dopo, arrivarono alcuni uomini dell'esercito per reclutare il figlio del contadino, ma rimase a casa proprio per la gamba rotto. Il vicino si rallegrò, ma il contadino rispose: "forse".

Un abbraccio e avanti tutta, sempre!
Maury

P.S. Appena entriamo in stagione, ci organizziamo per la nostra pescata, ma ricordati di portarti quello che serve! ;-)

Il Menega ha detto...

Morale della favola, è tutto un "forse"... Eh, eh, eh, scherzi a parte ho apprezzato questo racconto e, ancora una volta di più, mi convinco che 'sti cinesi sono proprio "avanti"!