venerdì 19 novembre 2010
Il "Ghiaione"
Dovrei fare, come promesso due settimane fa, un report dettagliato dell’enduro di Viverone. Ma non ci riesco. Tolta infatti l’ottima compagnia, questa nuova esperienza sulle sponde del lago biellese può essere descritta con una sola parola, moltiplicata per tre: pioggia, pioggia, pioggia. E ancora pioggia. Nella mia “carriera” (che parolone!) ho pescato diverse volte in condizioni estreme, al limite dell’incolumità fisica: mi sono beccato temporali fortissimi, ho guadato un fiume che stava gonfiandosi a ritmi vertiginosi, ho preso trombe d’aria e bufere di vento, mi sono rotolato nel fango per tre giorni e una volta sono quasi stato inghiottito dalle sabbie mobili. Ma come insegnano i maestri di tortura, il supplizio più grande non è quello che ti fa urlare di dolore, bensì quello che ti consuma lentamente, fisicamente e psicologicamente. Un po’ come le gocce che cascano senza tregua sul cranio del condannato. Stilla dopo stilla, si forma il buco che coincide col baratro. Ora, facendo le debite proporzioni, qui stiamo parlando di qualcosa che ha molto a che fare con il supplizio della goccia. Non una, ma milioni di gocce sopra la testa (mia e di Giulio) per tre giorni interi. Vestiti zuppi, tende riaperte per una settimana in garage, boilie ammuffite da buttare via e la sensazione, mai provata prima, nemmeno a Pasqua di qualche anno fa a Pusiano dopo cinque notti di pioggia ininterrotta, del “chi me l’ha fatto fare”. Però, nel bene o nel male, stare sulle sponde ti insegna sempre qualcosa. Ecco allora che si presenta l’occasione per conoscere una postazione da sempre bistrattata ma che da qualche tempo si è trasformata in un buono spot: il famigerato “Ghiaione”.
La foresta di alghe
Il nome chiarisce tutto: si tratta di una spiaggia di ghiaia lunga un centinaio di metri all’interno di un terreno privato. Dalle notizie che abbiamo in partenza dovremo cercare grosse pietre nel sottoriva, i buchi tra le alghe e provare a intercettare le baffone a lunga e lunghissima distanza, oltre i 10 metri di profondità. Pescando in questo modo hanno addirittura vinto un enduro, qui. Ci mettiamo all’opera con un bel sole, gustandocelo fino in fondo consapevoli di non rivederlo più almeno fino al martedì successivo, ben oltre il fischio finale dell’enduro. La prima cosa che notiamo sullo schermo dell’ecoscandaglio è che di buchi tra le alghe ne troveremo ben pochi. Davanti a noi si estende infatti una corona di macroalghe praticamente impenetrabile. Inizia a pochi metri da riva e si allunga al largo quasi fino alle boe che delimitano la navigazione a motore, praticamente cento metri di “anello” all’interno del quale è impossibile pescare. L’acqua è molto limpida e ci permette di capire anche a vista dove la “foresta” inizia a diradarsi. Oltre le boe la situazione migliora, con un fondale piatto e abbastanza duro che digrada lentamente. Si parte dai 6 metri all’altezza delle boe per arrivare oltre i 10 nei 200 metri successivi. Come si può ben vedere dal disegno qui sopra, che rappresenta il nostro assetto della prima notte, le profondità sono abbastanza “monotone”, senza repentine variazioni.
Pietre e sottoriva
Piazziamo allora due canne nei rispettivi sottoriva. Giulio ha a disposizione un buco pulito con fondale duro e tracce di precedenti banchetti di pesce (ovvero gusci rotti e fondale “girato”), spicca talmente tanto che è impossibile non metterci una canna. Io invece pesco sulla destra, verso la postazione “Ninfea”, dove ho a disposizione più punti puliti. Alcuni sono grosse chiazze a pochi metri dal pod (ci pescherò nelle due notti successive), altre invece sono spazi aperti su grossi sassi sommersi dove sono evidenti le tracce di passaggio delle carpe. «Cerca i pietroni», ci consigliavano all’inizio. Ed è quello che abbiamo fatto, senza nemmeno faticare troppo, perché tutta la sponda è costellata di massi di dimensioni notevoli. Io decido di piazzare la canna a circa 150 metri dal pod, in un corridoio pulito che si apre tra due file di grossi sassi, in coincidenza di un piccolo scalo per le barche. Come già detto, la parte centrale è impescabile. Tuttavia io approfitto del fatto che il lato destro è un pochino più “pulito” per piazzare a vista una canna in quattro metri d’acqua, in un corridoio abbastanza pulito e caratterizzato da fondale sabbioso. Anche qui trovo tracce di mangiate sottoforma di gusci spezzettati.
Intercettiamole!
Oltre le boe il discorso si fa diverso: addio pesca “a spot” per passare a una strategia di intercetto. Giulio mette una canna poco oltre le boe, in coincidenza della fine netta della corona di alghe, e una più lontana, in 8,5 metri d’acqua. Io invece “oso” un po’ di più, spingendomi ben oltre le boe fino ai 10 metri di profondità, nel nulla più totale dove, a quanto pare, qui si catturano parecchie carpe. A differenza di ciò che ho fatto a Endine, rimango piuttosto parsimonioso con la pasturazione. Palline intere e spezzate (una trentina per canna) più poche pellet. Idem Giulio. Quanto alle palline, sto usando il mio Toocano mix (birdfood con pineapple e corn steep liquor) che qui a Viverone mi ha dato tante soddisfazioni, più un birdfood ultra-grossolano che non so nemmeno io come abbia fatto a farlo legare. Tutti i miei inneschi sono rigorosamente protetti con un collant da donna: gamberi e gialdoni alla larga!
Un po’ di attività
Appena fa buio la canna piazzata più lontano da riva inizia a bippare. Dopo un po’ di esitazione ci convinciamo a uscire in barca e ad andare sopra l’innesco, portandoci tutto il necessario per rifare tutto senza tornare a riva. «C’è puzza di gialdone», dico io. E ci vedo bene, perché un bel carassione penzola dal mio finale combi. Nel marasma del “combattimento” ci accorgiamo che questo rompiscatole è riuscito a ingarbugliare il filo sul segnalino, che ormai si è spostato. Nel buio più totale allora riaccendo l’eco e rimetto il marker all’altezza della profondità che avevo scelto. È comunque piazzato “a caso”, perché tra buio e nebbiolina non capiamo proprio dove siamo. Comunque, nessuna partenza di carpe, almeno per noi. Va molto meglio ai ragazzi che sono nella posta alla nostra sinistra, i “Cavalli”: iniziano a catturare fin dal pomeriggio e non si fermeranno più per tutti e quattro i giorni.
Arriva la pioggia…
La preparazione per la seconda notte si basa sulla ricerca di un “bucone” di cui ci hanno parlato. Pare che sia oltre le boe, alla destra della postazione. In effetti, dopo un’accurata analisi del fondale, scopro che effettivamente il segnalino più lontano si trova proprio in mezzo a questo bucone, che altro non è che una depressione netta di un fondale già profondo di suo. Infatti, andando parallelo alla sponda, scopro che spostandomi verso il “Ninfea” il fondale inizia a risalire fino ai 9 metri, mentre davanti a noi, alla stessa altezza, si assesta tra i 10 e i 10,5. È per questo motivo che le due canne “lunghe” rimangono punti fermi della nostra strategia. Giulio sceglie poi di tenere la canna nel sottoriva nello stesso spot, spostando quella al limitare delle erbe un centinaio di metri più a sinistra, in 7,5 metri d’acqua. Non possiamo far altro che provare diverse profondità e sperare di intercettare, se non qualche branco, almeno un paio di esemplari. Quanto al mio sottoriva, inizialmente lascio anch’io la canna nello stesso punto, ovvero nel corridoi tra i sassi. Ma poi inizia a piovere, e con la pioggia arriva anche il vento, e con il vento in faccia le macroalghe morte partono per una crociera e vanno a incagliarsi negli appigli più comodi possibili, ovvero le mie trecce a galla. E se peschi “laterale” offri centinaia di metri di incagli, ovvio! Me ne accorgo appena fa buio quando, sotto una pioggia battente, prendo la canna calata nel sottoriva per recuperarla e non ci riesco. Lungo il filo ci sono chili e chili di erbe e impiegheremo tantissimo tempo per liberarle. Arrivati sullo spot inizialmente pensiamo di rimettere la canna in quel punto, poi, però, ragioniamo sul fatto che c’è troppo vento e che ci sono troppe alghe in sospensione. E allora torniamo verso il pod, fermandoci a una trentina di metri nei pressi di un segnalino che avevo scelto come quarta opzione già la prima notte: si tratta anche in questo caso di un buco pulito vicino a un sasso. La mia terza canna va poi in quasi 8 metri d’acqua, oltre le boe, a una decina di metri dalla fine della corona d’alghe.
… infine la bufera
Dopo cena ci rendiamo conto che la scelta di non calare più la canna nel sottoriva a distanza siderale si è rivelata corretta. Perché arriva la bufera, di cui vedremo gli effetti solo la mattina. Infatti, dopo esserci rintanati in tenda per ripararci dagli scrosci e aver staccato le centraline per avere un po’ di tregua dai suoni degli avvisatori, ci alziamo alle sette del mattino trovando tutte e sei le canne dotate di “back lead” di erbe. In poche parole, le alghe sbattuteci in faccia dal vento si sono accumulate nel punto in cui le trecce entrano in acqua e, filamento dopo filamento, hanno creato parrucconi che si sono spostati fino al sottoriva. Le punte delle canne erano sparate in cielo, ma i fili giacevano a terra, sotto le punte, trascinati dalle alghe. Fortunatamente non siamo costretti a tagliare le trecce, non ci si sono distrutti i pod e le tende all’interno sono ancora asciutte, ma le condizioni sono difficili, perché la pioggia non lascia un attimo di tregua.
Fiducia nella pasturazione
Arriviamo all’appuntamento con le ultime calate dell’enduro con il morale i sotto i tacchi, bagnati e spossati da condizioni davvero estreme. Non possiamo spostarci senza indossare stivali e impermeabili. Ovviamente, non ci è consentito rimanere fuori dalle tende per troppo tempo, altrimenti rischiamo di beccarci ben più di un raffreddore. Piazzare il Pva sui terminali è impossibile. Proviamo a passare un po’ di tempo in barca a scandagliare il fondale per cercare la chiave di volta della sessione, ma è solo (grande) fatica sprecata. Ecco, allora, che i punti in cui piazzeremo le canne non cambiano per l’ultima notte. Modifichiamo la strategia di pasturazione, lanciando in acqua una buona quantità di esche. Il ragionamento che seguiamo è questo. Sappiamo che la coppia alla nostra sinistra, quella che sta catturando, ha molta attività di pesce bianco e di pesci gatti. Noi abbiamo avuto attività di disturbo solo durante la prima notte, ma non nella seconda (quando comunque abbiamo pasturato poco). Quindi, facendo uno più uno, “attività della pesciaglia uguale più possibilità di intercettare qualche carpa”: ecco allora che le nostre pasturazioni si fanno più generose, coinvolgendo il re degli attrattori dei gialdoni, ovvero il fioccato di mais, che distribuiamo sopra ogni innesco. Siamo convinti che, tolti i sottoriva, non abbiamo possibilità di fare pesca “a spot”, quindi ci dedichiamo alla pesca d’intercetto.
Ad armi pari
Come si sarà già capito dall’introduzione, ogni tentativo è stato vano. Il nostro enduro è terminato con un bello zero nello score, accompagnato da grande delusione per le condizioni in cui siamo stati costretti a pescare. Certo, nel momento in cui scegli di fare il carpista devi accettare tutto ciò che questo comporta. Non puoi pretendere di pescare sempre con il sole e il lago piatto. Tuttavia, ciò che io, Giulio e tutti gli altri partecipanti ci siamo beccati è qualcosa che va al di là dei normali “inghippi” di una sessione. Non avevo mai preso così tanta pioggia per così tanto tempo durante una pescata. Viverone questa volta ci ha tirato una sberla, dopo tante soddisfazioni. Ma sono pronto a tornarci, magari al “Ghiaione” stesso. A una condizione: che possa sfidare il lago ad armi pari.
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6 commenti:
BELLA LI MENEGA..PECCATO!! MA IN COSA DIFFERIVE LO SPOT CHE PESCAVANO ALLA VOSTRA DESTRA DOVE AVEVANO ATTIVITA DI CARPE?
HAI MAI PROVATO A FARE BUONE PASTURAZIONI INIZIAALI SSU UNO SPOT PROFONDO E MAGARI LONTANO ...TTTIPO 10/15 KG DI PALLINE...PER PESCARCI POI CON 2/3 CANNEE? E MAGARI ALTRE 2 SUL MARGINAL...E 1/22 SU SPOT PARTICCOLARI?...BOH...MA CCOME POSTA LA VEDEVO PIU COSSI...NEL NULLA LONTANOCCON TANTE PALLINE EE LE LATRE A CERCARE IL PESCE...CMQ BELLISSIMO SIA IL REPORT CHE IL POSTO..MI HAI FATTO VENIRE VOGLIA DI FARCCI UNA PESCATINA
CIAOU
azz... che ortografia allucinante!!!! sta tastiera!!!
Eh, Umbe, è l'unico cruccio che ho, la pesca a lunghissima distanza nel "nulla". Purtroppo, però, le condizioni (vento e pioggia) non ci consentivano di farlo in sicurezza e con efficacia, perché le alghe morte trascinate dalle folate finivano tutte sulle trecce e, come raccontato nel report, me le sarei ritrovate sotto il puntale... E poi diciamocela tutta: quei buchi tra le alghe, pieni di chiocchioline, di gusci rotti e di chele di gambero, erano davvero (ma davvero) invitanti!
Una bella lezione di carpfishing. Complimenti per la tenacia! (pari alla grande passione)
;-)
P.S. Ce la facciamo a Viverone, la pescata insieme?
@Maury
Assolutamente sì, ma guardiamo prima per bene le previsioni del tempo... ;)
Ho capito che anche tu Paolino sei andato in frenesia vedendo quegli spazi fra le alghe, hai dovuto aprire il colletto della camicia e far traspirare il collo dalla vampata di calore eh eh, bello Viverone, me ne son innamorato!
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