lunedì 25 ottobre 2010

[Endine 2010] La postazione e il chod rig


«Meneghelli-Chiodini… postazione 4». La “Fermata del bus”: inizia da qui la nostra avventura della Maratona di Endine 2010. Tu che leggi farai fatica a crederci, ma nelle mie elucubrazioni nei giorni precedenti alla gara questa postazione faceva parte delle “best 3”. Prima di lei, solo la postazione “Bar Biali” e “Casa Rosa”, nella zona bassa del lago, dove ci sono erbai, ninfee e… carpe! La “Fermata” è la terza scelta, ma è una scelta di lusso. Sì, perché negli scorsi anni qui è sempre andata bene, a eccezione del 2009. Nel 2008 hanno addirittura vinto la classifica a peso totale e la cosa che ci fa ben sperare è la somiglianza delle condizioni climatiche e meteorologiche di allora con quelle che incontreremo nei quattro giorni. Sappiamo dalle previsioni che non pioverà e che farà abbastanza caldo per il periodo, quindi le carpe molto probabilmente andranno cercate negli erbai perché non saranno molto mobili e non si sposteranno su e giù per il lago. Insomma, tutto inizia molto bene!



Il punto di partenza
I miei giri fotografici per la rivista negli anni scorsi mi hanno permesso di avere qualche informazione di base sulla postazione che ci ha permesso di rendere più facile l’individuazione degli hot spot. Sapevo quindi che qui si fa pesca d’erbaio, che il fondale davanti a noi è pieno di piante subacquee e che vanno cercati i buchi liberi tra queste e che anche il canneto sulla sponda opposta regala buone catture. Lo ricordo bene perché nel 2004 abbiamo preso qualche carpa contro quel canneto pescando dalla postazione “Alberello”, di poco a sinistra dalla “Fermata del bus”. Questi dati vanno a sommarsi al primo impatto con lo spot, una postazione comoda che ci offre anche buoni punti nel nostro sottoriva. Anzi, più che buoni ottimi, visto che sarà proprio il nostro sottoriva a salvare l’enduro.




La sentenza dell’eco
E allora via con l’ecoscandaglio. «King, vai avanti e indietro e cerca i buchi tra gli erbai», dico al mio socio, che però torna scoraggiato dopo una mezz’ora. «Ma sei sicuro che ci siano i buchi?», mi chiede. E io: «Certo, io so che è così…». «Guarda che l’eco segna un erbaio fitto fitto senza buchi. C’è un canale libero di una decina di metri tra la sponda e l’inizio dell’erbaio, poi la “foresta” e infine un altro canale libero largo una ventina di metri tra il canneto opposto e l’erbaio stesso». Senza curarmi troppo di lasciare le cose incustodite, salto in barca per verificare: è proprio così, come mostra il disegno che potete trovare all’inizio di questo post.

Prima notte: l’esplorazione
Che fare, allora? Passiamo tre ore abbondanti in barca alla ricerca di uno di questi famigerati buchi tra le erbe, ma dobbiamo desistere. Non ci resta allora che ragionare e cercare di capire come piazzare le canne per coprire tutta la zona che abbiamo a disposizione. La prima cosa che facciamo è piazzare il segnalino giallo che nel disegno qui sopra vedete più in alto. È l’unico punto che ricorda vagamente un buco libero ed effettivamente – come ci darà conferma la telecamera subacquea di Luca – si tratta di un piccolo “atrio” pulito che si apre ne bel mezzo del super erbaio. Parentesi: è un erbaio fitto piuttosto eterogeneo, perché ci sono punti in cui i ciuffi d’erbe arrivano addirittura in superficie, mentre in altri l’altezza si attesta sul metro e mezzo, massimo due. Piazzato il primo segnalino andiamo per intuito. Uno sul canneto, e altri due sul bordo esterno dell’erbaio. Perché non nel canale libero in mezzo? Sinceramente può sembrare una mossa azzardata lasciare libero quel canale – e forse lo è – ma ci siamo fidati dell’intuito e dei segni inequivocabili dell’eco: vedevamo gli archi solo se ci spostavamo verso le erbe e non nel “piattone”. Ci restano così due canne. Una è mia, ed è quella che nel disegno è segnata con il puntino rosso più vicino a riva. Si tratta di uno spot nelle immediate vicinanze dell’erbaio, proprio al limitare. «King, tiè, ti faccio un clinic sulla calata». Pluf, il segnalino va a piazzarsi proprio al limite delle alghe. E il socio? Gli manca una sola canna e decide di dare fiducia al canneto a destra sulla nostra sponda. Con l’eco troviamo quello che molto probabilmente è un bel sasso. Non ci sono erbai, solo fondale pulito: Dani piazza il segnalino a 5-6 metri dalle cannelle. Decidiamo di optare per due diversi stili di pasturazione: io lancio di tutto e di più, creando grosse macchie con boilie, fioccato, canapa e pellet; Daniele non esagera, pasturando con poche palline e con un cucchiaio di canapa per canna. A proposito: impostiamo la pescata su palline self-made realizzate con mix Keltia di Big Fish, “bagnato” con Carpamino, Nhdc, Strawberry Hit e Strawberry Oil. Andiamo sul sicuro, insomma.

Niente carpe, ma il chod rig…
Ci svegliamo la mattina belli riposati. Per me la sveglia è alle 6, perché decido di recuperare la canna sulla sponda opposta per evitare di disturbare i pescatori a spinning. Sostituisco la montatura a perdere classica con un chod rig, innescato con una poppy all’ananas da 14 millimetri e accompagnato con un sacchetto di Pva pieno di pellet e palline sbriciolate. E lancio alla destra del segnalino rosso, al limite delle erbe. Non l’avessi mai fatto! Infatti, tornato dal giro di scatti delle catture per la rivista, trovo il King disperato che mi dice di aver preso già quattro carassi, uno dietro l’altro. Poi, vedo che una mia canna è sul pod, priva del finale. «Ah, c’è stata una partenza, qualcosa c’era sicuro. Si è fatto trascinare fino a riva a peso morto, poi, a pochi metri dalla sponda, ha dato un colpo e ha spaccato il fluorocarbon all’altezza del primo nodo…». Chissà, forse era un siluro!

(continua)

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