martedì 4 settembre 2012
Cambiare (per sopravvivere)
Non ho attraversato un gran periodo. Come molti altri figli dei primi anni Ottanta mi trovo a combattere una guerra a cui nessuno mi aveva preparato: trovare un lavoro. Il bello è che spada e pugnale devi tirarli fuori pure per farti pagare per ciò che hai fatto per qualcuno, che come al solito ti dirà che sei bravissimo, che meriti tanto ma che... insomma... devi pazientare... un contratto no.... e poi il compenso deve essere "in linea con il mercato". Uno schifo. Il campo di battaglia è impolverato da qualche anno ormai, ma l'unica soluzione che ci è concessa è andare avanti, guardare in là. Ritirarti non puoi: che fai, muori?
Ci hanno detto "studia, che poi un lavoro lo trovi sicuro": una volta, forse. Non siamo preparati, io non ero preparato. In pochi mesi ho dovuto rivedere prospettive, sogni, scenari futuri e anche ideali. Sì, proprio quelli, i fondamenti su cui ognuno basa la propria personalità, la vita, l'immagine che gli altri hanno di te. Parlarne è inutile in queste pagine che dovrebbero appunto riportare a uno scenario positivo, quello della nostra passione per l'amo e la lenza. Però, nulla accade a caso. E siccome la pesca fa parte della vita, non si possono non tenere in conto le ricadute che la "maestra" ha sulla nostra spina dorsale. In questi mesi di sconforto, di atarassia e di una solitudine cercata a costo di compromettere molti rapporti personali sono giunto a tre conclusioni. Uno, basta aspettative: vivi, fatti trascinare dal flusso degli eventi, pagaia come meglio puoi e cerca di infilarti nei lati più entusiasmanti del fiume del tempo. Due, isolarsi non serve: accresce solo la rabbia verso se stessi e vedere ogni giorno il tuo muso piatto allo specchio è la peggior medicina (non a caso è la più "comoda" che tu possa prendere). Tre, mai fossilizzarsi su una cosa sola: una sedia è comoda ma se ci stai seduto poco; una casa è bella fino a quando non presenta le prime crepe; un'automobile ti fa godere fino a quando non perde la prima goccina d'olio. Quindi basta, smettiamola di fare una cosa esclusiva, di appassionarci fino a sfiorare la malattia. Sì, parlo proprio di pesca: quante cose rientrano dentro il termine "pesca sportiva"? Qui voglio arrivare: inchiodarsi su un pesce, su una tecnica, su uno spot solo non ha senso. Non lo ha più. Si spiega così la foto del bass (una delle poche gioie di questa estate troppo lunga) sotto il titolo: è un simbolo di (ri)scossa. Di un inizio nuovo e diverso, più aperto e meno prevedibile. Di qualcosa che sai da dove parte ma non sai dove arriverà. Via la maschera, si ricomincia a camminare.
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