lunedì 19 novembre 2012

«Ci vediamo in finale»

Perché di solito non te ne frega niente di come andrà. Vada come vada, sei contento. Ma alla fine sei un uomo, un maschio, la competizione ce l'hai dentro fin dai tempi della clava e dei mammuth. Quindi fare bella figura ti piace, anche solo per te stesso. E così ti cambia la prospettiva. «Com'è andata?». «Un amur sui dieci e una specchi di nove e passa. Voi?». «Due regine...». E poi: «Ci si vede in finale». Ci-si-vede-in-finale. Non ci pensavamo, la vedevamo come una cosa lontana; a un certo punto, infreddoliti, abbiamo pure sperato di non "passare" il turno. Però è successo. Capita sempre così. Posto "facile" che improvvisamente diventa difficile, pesci fermi, lo sguardo a chi pesca ai lati e davanti. La molla che ti scatta e ti fa dire che tu peschi meglio di loro e le azioni conseguenti: impegno, concentrazione e potenza. Sì, pure quella, per pasturare là dove credi che gli avversari, perché tali sono diventati quelli di fianco a te, non arrivino. Già, è una forma di competizione sottile, che ti entra sotto il pile e pian piano ti permea tutto. L'obiettivo, più che dimostrarlo agli altri, è dimostrare a te stesso che sei meglio di quello hai fatto fino a un certo momento. Che hai un'esperienza, e che la devi mettere a frutto. Perché ti convinci che se farai le cose come sei capace di farle, alla fine il fato ti premierà. Non è questione di esche o di miracoli: è questione di testa. E tra tutte le ipotesi possibili c'è n'è una: ce la fai. Ti ritorna così in mente il fatto che non te ne fregasse poi molto... ma era vero? Ci-si-vede-in-finale. Suona bene... uuh, come suona bene.


Sono appena tornato dal Lago di Salasco, a Vercelli, dopo tre giorni di pesca in quello che viene chiamato "enduro invernale". Ho detto subito sì perché sotto sotto mi piaceva la formula: due "semifinali" a 16 coppie con solo 14 in totale che passano. In più non ho mai pescato in questo lago, ma so che se voglio tornarci con Silvio dobbiamo finire tra i primi 7 per giocarci il tutto e per tutto il week end dell'8 dicembre. Ce la faremo? Il sorteggio non ci lascia grandi speranze: posta 10 (tra l'altro estratti come al solito tra gli ultimi tre). «Qui si prendono pochi pesci, ma grossi». Mah, dobbiamo crederci? Fatto sta che quando vedo lo spot noto tre cose: primo, siamo quasi in fondo al lago, penultimi nel settore, all'inizio di un'ansa, quindi siamo abbastanza chiusi; secondo, i pesci saltano a centro lago, questo vuol dire che dobbiamo lanciare e pasturare ad almeno 110 metri di distanza, centimetro più centimetro meno; terzo, inizia a fare freddo.


Il fondale qui conta fino a un certo punto, perché è tutto piatto. Silvio, che a Salasco ha già pescato tre volte, mi fa notare che c'è un bello strato di fango non appena si superano i 30 metri da riva. Trovare punti duri è praticamente impossibile (anche se poi scopriremo che il lato sinistro dello spot è leggermente più consistente), quindi non ci resta che adottare strategie ad hoc per il fango. Ovvero pasturazione con esche leggere e inneschi pop-up. La strategia l'abbiamo già decisa a tavolino: abbondante pasturazione al centro del box, dritti davanti a noi, uscendo il più possibile, e pescando con due canne in quel punto. Le altre quattro canne lanciate a scalare, cambiando esche e quantità di pasturazione (ridotta). Silvio fa un bel lancio e piazza il marker a una buona distanza da riva. Buona, ehm ehm, ottima. Grazie al sistema dei picchetti per clippare la lenza ho infatti appena scoperto che quel marker era a 108 metri da noi. Mica male! Nella zona abbondantemente pasturata si pesca solo a tiger. Le altre quattro canne vanno giù a palline: le mie due a 80 e 65 metri da riva, quelle di Silvio a 90 e nel primo sottoriva. Pasturazione più contenuta (30-40 palline per canna) ma molto attrattiva (tutte le esche abbondantemente ammollate). Attenzione: con il rocket e lo Spomb possiamo pasturare solo due ore al giorno, ovvero dalle 9 alle 10 e dalle 4 alle 5. Un particolare importante. Secondo particolare: appena arrivati in postazione e iniziata la gara, lanciamo subito lo zig rig per intercettare qualche pesce di passaggio. Infruttuosamente.

La gara inizia forte: subito un amur per i ragazzi di fronte a noi e una carpa nella prima postazione dopo l'ingresso, a detta di tutti la migliore. Siamo speranzosi: dopotutto, se saranno tre giorni con tanti pesci, forse un paio li prendiamo anche noi. Dopotutto è questo quello che conta: scappottiamo, poi vediamo come va. Come già accennato per me il lago è nuovo, quindi non posso pretendere chissà che. In più Silvio non ci ha mai pescato d'inverno, e allora... siamo sereni.



Il buio arriva presto. Si fa per dire, perché la nostra posta è illuminata dai fari di un campo da calcio. Alle 18 inizia una partita. Silvio cataloga subito il match: «Questi non sanno neanche come si calcia il pallone». Da ex giocatore e allenatore, mi fa capire fin dal riscaldamento che ci divertiremo. Assistiamo così a una partita terribilmente maschia, con interventi che sembrano più mosse di kung fu che tackle e scivolate. Diamo un'occhiata al lago, dove i pesci non saltano più, e una al campo. Mentre siamo girati verso l'acqua sentiamo un colpo tremedo e un giocatore che urla di dolore. «Mi si è rotta un scarpa» diventa così il refrain della nostra sessione, insieme a un altro, tipico commento diffuso nell'italico calcio: «Arbitro, sei un pagliaccio!».


Morale della favola, andiamo a letto cotti (la sessione di pasturazione dalle 16 alle 17 ci ha sderenato). E ci svegliamo senza essere mai usciti dalla tenda. Solo una delle mie canne ha avuto attività notturna, e infatti la recupero ingarbugliata. Poi accade una cosa strana: Silvio recupera una canna per rilanciare e tira su l'amo totalmente aperto... e lì davanti c'è solo fango? Ci chiediamo cosa possa essere stato. Nel frattempo scopriamo che i pesci si sono totalmente fermati. Dopo una notte sono uscite solo cinque carpe per quattro coppie. Il rischio sorteggio per trovare le sette fortunate è dietro l'angolo. C'è in più un problema: mi si rompe la stufetta (e la notte va sotto zero).


Che fare? Cosa cambiamo? Lasciamo tutto così? Altra esca? Ci confrontiamo un po', mentre la mattina lancio tutte e tre le mie canne a zig, con bandiere di 5, 4 e 2 metri, su un fondale di circa 6,5-7. Silvio invece non cambia la strategia. Guardandoci intorno ci accorgiamo che tutti pescano molto lungo. E tutti hanno pasturato nel turno dalle 9 alle 10, mentre noi abbiamo evitato visto l'assenza di attività. Arriviamo così a queste conclusioni: lasceremo perdere l'estrema distanza per creare una zona di pasturazione a 70 metri da riva (il punto in cui io ho sentito attività durante la prima notte) utilizzando esche molto leggere, molto oleose e di dimensioni piccolissime. In questo punto pescheremo con ben 4 canne, lasciando le altre due in ricerca, una sottoriva e una sparata nel nulla il più lungo possibile. Il tutto coadiuvato dal fatto che nessuno pastura nell'ultimo turno del sabato, praticamente spombiamo solo noi. Funzionerà?


Funziona. Alle 3 e mezza, mentre sono tutto dentro il sacco a pelo, testa compresa, abbracciato alla boule dell'acqua calda, ecco che l'avvisatore suona. Non fa una partenza, quindi penso subito che sia un gialdone. Già, perché qui non c'erano i gialdoni... sì, come no! Ditelo ai nostri vicini di posta! Comunque, esco dalla tenda, vedo tentennare lo swinger e così prendo in mano la canna. Recupero un po' e sento che attaccato c'è qualcosa ma... non tira! E se fosse davvero un cavedano? Combatte in modo strano. «Silvio, per me è uno storione». Possibilissimo, visto il tipo di pastura che stiamo usando. «No, è un amur!». Dopo pochi secondi ecco nella rete un'erbivora che sembra pure carina. Alla pesatura farà 10,7 chili. Abbiamo scappottato. Sì. E nessuno ha preso niente, tranne una coppia che aveva già preso. Sì. Vuoi vedere che ci siamo qualificati? Forse sì.


Nel calcio l'1-0 a volte non basta. Meglio fare il secondo. Silvio si alza presto, toglie la canna dal sottoriva e innesca un finale con il mais finto bilanciato. Lo lancia nel bel mezzo della zona pasturata a 70 metri da riva. Pazzia? No, colpo di genio, perché dopo un'ora ecco una partenza (Silvio, i Delkim fanno un suono orribile!) ed ecco un'altra cattura. Stavolta è una specchi di quasi 9 chili. Sì. Siamo qualificati.


A dicembre sarà un'altra storia. Farà freddo, avremo freddo, e le carpe pure. Chissà come andrà. Nel frattempo ci godiamo questa pescata e ridiamo ancora pensando a tutti i ragionamenti che abbiamo fatto, dallo 0.20 in bobina passando per le singole affondanti e gli zig di un metro. La chiave di tutto, a nostro avviso, è stata la precisione. Pescavamo nel bel mezzo dell'area pasturata, punto. E forse ne abbiamo prese meno di quelle che avremmo potuto prendere, dal momento che sull'area era tutto un "concerto" di salti: vedevamo solo l'acqua mossa, magari era lo stesso pesce, magari erano solo gli amur, magari no. Fatto sta che gli inneschi erano ultrabilanciati, le esche erano affidabili (sia lodato Zio Rod) e i rig pure. La pastura utilizzata per noi una garanzia. Per farla breve, oltre alla precisione a fare il tutto ci ha pensato un ingrediente che troppi trascurano: la fiducia. Al di là dei discorsi che si fanno in sessione, non l'abbiamo mai persa. Ci-vediamo-in-finale. Uuh, come suona bene...


Oltre alle carpe, in pastura avevamo anche questo bel gattone: l'abbiamo soprannominato il Gatto Munga. Chissà perché... :)

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