Io non so se ce le chiamiamo, oppure se è destino che debba andare così. Passi settimane e settimane a chiederti dove ti metteresti nel caso in cui il sorteggio fosse favorevole (ovvero venissi estratto tra i primi con il sistema alla francese, in cui, estratta la coppia, questa sceglie lo spot), ti fai domande, incroci i dati degli anni passati, li confronti con quelli di oggi e il risultato è un elenco con le cinque postazioni al top. La cosa bella è che, dopo due anni di fila in cui vieni estratto per penultimo, dài per scontato che quest'anno ti andrà meglio e potrai scegliere finalmente di pescare dove ti pare, nello spot che tu ritieni migliore per il periodo. E ti dimentichi della jella o del disegno che il destino ha preparato per te. «Paolo, ieri sera ho sognato il Maresco, dobbiamo andare lì». «Silvio, è la prima scelta anche per me, poi ci sono l'Oasi, le Villette, Azeglio e ci metterei anche il Royal. Poi non ti nascondo che ho un certo "prurito" per Punta Becco...». «Tanto veniamo estratti come al solito per ultimi». Detto, fatto. "Meneghelli-Bussoni, a voi la scelta". Scelta? O una o l'altra; o Ceria o Ghiaione. Tic, toc, tic, toc. «Silvio, che famo?». «Scegli tu, Pablo», con la delusione che si intravede tipo urlo di Munch. «Ghiaione».
Perché scegliere la postazione che a ogni enduro non vuole mai nessuno? Ecco i motivi, tecnici, scaramantici, storici, in ordine sparso. Primo, ci ho pescato nel 2010 e ho vissuto qui l'unica sessione in cui, a un certo punto, avrei preferito tornare a casa piuttosto che essere in tenda: del diluvio di quell'edizione ho parlato ampiamente nel blog. E ritornarci sopra fa ancora male. La postazione è allora in debito con me, non può trattarmi male. Secondo, l'anno scorso abbiamo pescato al Ninfea, la postazione immediatamente a fianco: conosciamo molto bene il fondale, sappiamo dove più o meno girano le carpe, quindi il "lavoro" ci è agevolato. Terzo, non vogliamo essere "chiusi". L'abbiamo visto lo scorso anno: il Ceria è chiuso a sinistra e a destra, e per calare nel fondale giusto devi comunque metterti d'accordo con chi è al Ninfea. Al Ghiaione invece sei molto più libero, hai davanti a te una fetta di lago dove sei canne ci stanno comode comode. Quarto, sento che è la scelta giusta. La spina dorsale mi ha aiutato a scegliere.
Rispetto ai soliti report parlerò poco di tecnica. Non è per cattiveria: semplicemente è inutile ripetere quello che ho già scritto due anni fa (qui). La postazione è la stessa, le zone sono le stesse, cambia solo un po' la strategia. Seguendo il racconto i più svegli la intuiranno.
Dopo aver atteso che il proprietario del terreno ci aprisse il cancello per la nostra "stupidata" (alcuni ci considerano così, che volete farci) scarichiamo le auto in un lampo grazie all'aiuto di Luca e "Zio Rod" Gianluca, i nostri runner. Parentesi: solo gli amici veri sacrificano un weekend per venire a un enduro ad aiutarti senza toccare una canna. Chiusa parentesi. Ci accorgiamo che i ragazzi del Ninfea sono già in acqua a calare i segnalini e sono spostati molto verso sinistra, ovvero alla nostra destra. Il dato positivo è che, essendo del posto, se piazzano i segnalini verso di noi vuol dire che la zona è buona. Il dato negativo è che rischiamo di sovrapporci e che siamo un po' "chiusi" verso destra. Pazienza. Ce l'avevano detto e siamo preparati.
Chi conosce il Ghiaione sa che, sia a destra sia a sinistra, ci sono grossi pietroni con fondale di sabbia, ciottoli e "duro". Sono zone invitanti, spesse volte circondate dalla vegetazione. Così come la fascia immediatamente successiva all'ultimo banco di alghe, una decina di metri oltre le boe gialle di navigazione. L'approccio "scolastico" sarebbe semplice: una nel sottoriva, una dietro le boe, una lunga sul piattone, esattamente come ho fatto due anni fa. Bé, per questa occasione niente scuola, faccio le cose a modo mio: tre canne a lunghissima distanza, nel nulla più assoluto, a coprire tre profondità: 9,5 metri, 11 metri e 12 metri. Un triangolo fatto coi segnalini, tenuti a una ventina di metri tra loro, senza aprirmi troppo. Il senso è semplice: sono convinto che in quel tratto le carpe passino, devo solo capire a che profondità preferiscono spostarsi per poi incanalare la strategia sul binario giusto. Silvio prova invece una canna nel sottoriva (lo ammetto, pescando a sinistra l'avrei messa anche io) vicino due grosse, invitantissime pietre, mentre le altre due sono a distanze estreme a coprire gli 8 metri e i 13 metri di profondità. Il mio è un approccio "tiger only", quello di Silvio prevede anche le palline. E la pasturazione? Media, e poco aperta. Il finale? Combi con bracciolo in lead core e ami misura 2 e 1. E il 360 rig? Qui non possiamo usarlo, perché i piombi attaccati alla clip pesano tra i 250 e i 300 grammi. Ah già, dimenticavo: il gps segna che la canna più corta è a 200 metri da riva, la più lunga a 375...
Come al solito la prima notte abbiamo tante aspettative ma non prendiamo una mazza. In compenso si dorme. Io e Silvio nella Colossus, Gianlu e Luca nella Storm Cellar XL, dotata per l'occasione di triplo telo e di stufa Zibro che li fa dormire in maniche corte. «Siamo al tropico del Cancro», dicono. E in effetti, sentendo il loro russare (Gianlu, in nomen omen!), devono dormire veramente bene in quella tenda... Però i due hanno un difetto: si alzano troppo presto la mattina. Ok, ti insegnano che ti devi svegliare all'alba per vedere dove saltano le carpe, ma non siamo a Redmire... Comunque alle 6 del mattino, in mezzo a una nebbia fittissima, sono già in giro. Non ti svegliano subito, no. Li senti camminare, parlare a bassa voce, prepararsi il caffè, dire cose del tipo "guarda, è saltata là", oppure "quelli a destra sono fuori in barca": cose che se le senti, e sei a un enduro, ti interessano molto e ti inducono a svegliarti anche se non vuoi. Poi, arrivate le 8, non resistono e devono svegliarti. «Bimbi, è ora!». E vengono in tenda, fanno entrare il vento freddo del mattino e a quel punto non hai scelta: o esci dal sacco a pelo, o devi porre fine alla loro esistenza in pochi decimi di secondo. Sto pensando alle due ipotesi quando la mia canna parte. Secondo Gianluca, "se aspettavamo che tu ti alzassi la canna volava in acqua". Forse è vero, comunque salto in barca e andiamo al largo, in mezzo a una nebbia che non ti fa vedere da qui a lì. Fin dalle prime battute il pesce non sembra enorme. Anzi, quasi non combatte, perché gli arriviamo vicini e lo troviamo a galla. Una specchi, una di quelle tipiche di Viverone con tante scaglie sparse qua e là. A questo punto inizia la vera sfida perché il pesce si scatena. Il piombo si è staccato come da copione e mi permette di condurre il combattimento in tutta tranquillità (con tre etti a penzoloni non ce l'avrei mai fatta!). Tempo un quarto d'ora ed è a guadino. Forse non arriva neanche al peso minimo per la pesatura (10 chili), ma siamo contenti così: abbiamo preso al Ghiaione, abbiamo preso al Ghiaione, abbiamo preso al Ghiaione! Smaltita la gioia, ci rendiamo conto che... non sappiamo dove siamo e non abbiamo il gps in barca. Torniamo a riva secondo il metodo antico: seguendo le urla dei soci sulla riva. Spettacolo.
Ci carichiamo tipo dinamo: i pesci lì davanti passano. Facciamo un piccolo passo indietro. Questa è solo la conferma di una sensazione che avevamo già dal giorno prima. Infatti, abbiamo visto saltare parecchie carpe, soprattutto verso destra, sui segnalini dei ragazzi al Ninfea. Che tra l'altro nel pomeriggio hanno preso subito una carpa da 20,5 chili. Il fatto che anche noi abbiamo visto una partenza ci fa capire che nel settore le carpe passano, ma... leggermente più lontano da riva rispetto al Ninfea. A questi dati poi dobbiamo aggiungerci i "buchi" sul fondale che abbiamo trovato un po' ovunque davanti a noi, prodotti evidentemente dalla fame delle carpe, e gli archi sullo schermo dell'ecoscandaglio. Nel pomeriggio del giorno prima ne avevo visti un po', esattamente allo stesso modo in cui li avevo visti lo scorso anno al Ninfea. Nessuno ci crede agli archi, ma io sì: e la carpa che ho nel guadino mi sta dando ragione. Detto questo la nostra pescata ci sembra in discesa. Se va come lo scorso anno sappiamo che questo non sarà l'unico pesce che prenderemo e che, anzi, pasturando dovremo cercare di attirarne in zona il più possibile. Ecco perché sbrighiamo velocemente le operazioni di foto e rilascio (la carpa non è a peso, non supera i 10 chili quindi non dobbiamo chiamare la giuria) e ritorniamo a calare immediatamente le canne.
Ce ne aspettavamo un'altra, che non arriva. Speravamo obiettivamente in una partenza diurna, poche ore dopo questa. Invece niente, tutto fermo. Per noi, ma anche per quelli di fianco a noi. Rispetto al giorno prima le carpe non saltano più. Comunque siamo in buona compagnia: in due giorni di pesca in tutto il lago sono usciti solo cinque pesci. Belve clamorose (tutte over 20), ma comunque poche. Vuol dire che il lago è inchiodatello e che, a prenderne una, siamo stati comunque bravi. Rassegnati? No, anzi: la seconda notte siamo ancora più "cattivi".
Silvio tira via la canna dal sottoriva e la porta fuori. Si sposta verso destra, per raggruppare un po' la zona pasturata. Considerato il risultato, io non cambio strategia e lascio i segnalini negli stessi punti. Mi premuro di abbondare ulteriormente con la pasturazione: se c'è pesce nei paraggi, lo voglio attirare sui segnalini e tenercelo il più possibile. Pare funzionare: a mezzanotte del secondo giorno, pochi secondi dopo essermi infilato nel sacco a pelo, ecco una nuova partenza, questa volta nel segnalino più a destra in 9,5 metri. Una regina molto combattiva, lunga, ma di taglia troppo bassa per la classifica di questo enduro: 11 chili. La sentivo, avevo finito di parlare al lago (e di vedere i pesci saltare oltre le boe). La mettiamo in sacca per fare le foto al mattino ma anche per capire una cosa: da quanto tempo questo pesce è in pastura? La domanda nasce da una considerazione molto semplice: vogliamo sapere se la quantità di pastura è adeguata all'attività del pesce. Insomma, pescando a 300 metri da riva non possiamo captare segnali di minutaglia in azione, e ovviamente neanche delle carpe. Dopo la prima cattura, pensavamo di prendere di più perché l'esperienza ci ha insegnato che qui a Viverone spesso funziona così: presa una, prese tutte. Solo che è passato troppo tempo tra la prima e questa regina, quindi vogliamo scoprire se, forse, stiamo pasturando poco. E se i pesci che abbiamo preso sono due semplici "avventurieri" che si muovevano su quella fascia di fondale e hanno trovato gli inneschi bilanciati che svettavano sul fondo molle e se li sono pappati.
La sacca, la mattina, è praticamente vuota. La regina, insomma, è arrivata su un letto di pastura ormai esausto, oppure ha proprio mangiato l'innesco singolo (oppure è andata a colpo sicuro sull'innesco, ipotesi mooooolto balzana a mio avviso). Bisogna "caricare" di più. Silvio rivoluziona la sua strategia e mette due canne nella fascia di fondale che ci ha regalato le catture. Io ce ne metto addirittura tre. Come ho fatto a Endine un mese fa, concentro tutto in una fascia lunga non più di 50 metri. E con la pasturazione ci andiamo giù pesante. Col senno di poi, avremmo dovuto farlo prima...
E così arriva in un lampo l'ultima notte. Gianluca ci saluta per lasciare il posto al King. Dovrebbe piovere, invece c'è un sole pazzesco. Abbiamo addosso la frenesia giusta. Mangiamo robe schifose (e ci eravamo detti "restiamo puliti"), ascoltiamo musica oscena (e Luca quasi piange), poi balliamo sulle note de La Isla Bonita. Ci sono le foto, ma preferisco non pubblicarle. E ci addormentiamo dopo pranzo: «Ragazzi, il pisolino va fatto», dico io. Dopo una bella ronfata arriva il momento decisivo, ovvero quello di ricalare le canne. Dobbiamo ammetterlo: eravamo già soddisfatti per le due catture (dopotutto non dimentichiamo di essere al Ghiaione!) ma sotto sotto sentivamo che non era finita. Il puzzle doveva ancora comporsi del tutto e in qualche modo avevamo dei presentimenti. Primo tra tutti, una delle canne di Silvio che si piega, l'avvisatore non suona ma il pesce c'è. Combattimento assurdo cercando di togliere le alghe dalla treccia e a guadino finisce un pesce coi baffi. Una carpa? No, una super-tinca. Awesome tench! Ma è questo il segnale: la notte deve regalarci ancora "qualcosina"...
Ore 20: pizza. Proviene da un ristorante "pregio" perché per il metro di pizza di Zazà (il secondo della sessione) avremmo dovuto aspettare fino alle 21, ovvero mangiare alle 21.30. Troppo tardi, c'è pure il derby d'Italia. Ecco quindi la pizza presa nel ristorante "dove tutti erano vestiti bene". Buona. La mia è ai wurstel ed è bella filante. Ore 20.40: mi squilla il telefono. Esco dalla tenda, calda come il Sahara, per farmi i fatti i miei. Ore 20.46: la Juve inizia a rubare la partita contro l'Inter con il fuorigioco di Asamoah. Ore. 20.47: biiiiiiiiiiiip. Viola. Delkim. Uguale: canna di Silvio. «Silvio, c'è, è la tua, Silvio, Silvio, Silvio!». Scatto, barca, via! Il combattimento è eterno. A riva è un continuo "cavolo, è bella", "guarda dove li trascina", "sta andando sulle tue canne, Pablo". Vuoi vedere che Silvione la piazza? Dopo una mezz'oretta, in una serata che sembra di ottobre più che di novembre, eccolo riapparire, sorridente ma quasi incredulo: dopo il sussulto della tinca, finalmente la carpa, la sua prima carpa di Viverone nella postazione che tre anni fa l'ha preso a schiaffi. Ed è bella: over 15, una regina muscolosissima e piuttosto nervosa. «Ce l'ho fatta, Pablo, ce l'ho fatta!»: se c'era qualcuno che meritava una super cattura all'enduro questo era proprio Silvio. E conferma la mia ipotesi, ovvero che i laghi tolgono e danno, sempre. Ciò che Viverone ha tolto prima a lui e poi a me ce lo sta restituendo con una sessione super. E c'è ancora tutta la notte!
Il sigaro aiuta a riflettere. Ce lo godiamo sempre dopo ogni over 15. Ma stasera ha un sapore speciale. Tre catture al Ghiaione: un miracolo! Poi la serata è perfetta. La superficie è piatta, sembra olio. E il silenzio è surreale. Di grandi laghi ne ho visti tanti, ma silenziosi come Viverone non ce n'è. Quando sei in mezzo al lago, in barca, di notte, con un po' di nebbia, ti senti schiacciato dal peso del nulla. Da un silenzio che, come dice il King, fa rumore, è assordante tanto è imponente. Incombe su di te come un gigante invisibile.
Soddisfatti, veniamo accompagnati a letto con dolci pensieri. E accade ancora una volta: appena messi a letto e tirato il sacco a pelo sul mento, ecco che parte a cannone la mia canna. Una botta clamorosa. Parto all'inseguimento della preda, che sembra essere andata tutta a sinistra. «L'ho persa, l'ho persa», mi agito. «Stai zitto!», mi dicono dalla regia. Questa volta ci credo, l'ho presa grossa. Il pesce tiene il fondo, ci trascina verso i Cavalli. «Oh, non riesco a tirarla su». La carpa fa quello che vuole, non ci sono storie. Siamo lontanissimi dalla postazione e sono ormai 20 minuti che giriamo per il lago. Poi eccola, una regina. Pare grossa, ma forse non lo è. Boh. Sorge qualche dubbio. Poi viene a galla... guadino, rapido movimento di polso, c'è! «Com'è?». «Non ci siamo, mi sa».
Mentre torniamo verso riva, a 20 metri dal pod, ecco un altro suono lacerante. Biiiiiiip! «Cazz, hai preso il filo!». Da riva: «No, Pablo, non è il filo! Partenza!». Ecco una delle cose più belle che mi siano mai accadute: mentre io torno a riva con una carpa nel guadino, Silvio esce per recuperarne un'altra, partita sulla mia canna immediatamente a fianco. «In bocca al lupo», dico incrociandoci. «Crepi». Risponde. Il tempo di pesare la regina e metterla nella sacca e il socio è di ritorno. Ha praticamente preso la gemella della sua: altra regina intorno ai 15 chili. «Domattina foto doppia!».
Ma anche tripla, perché ecco che parte di nuovo la mia canna più esterna a destra. Questa volta la sorpresa è grande quando, appena sotto la superficie, intravedo la sagoma e le scaglie di una mirror. Una splendida mirror! «Oh, ma è quella dello scorso anno?!». «No, guarda le scaglie, è diversa». Morale della favola: 17,4 chili. Uno dei pesci più belli che abbia mai preso in vita mia. Una specchi potente, lunga, inconfondibile. Non vedo l'ora di farla vedere a Simone e a Vito, i fratelli Cafudda, per capire se ha già un nome. Se non lo dovesse avere, so già quale nome dargli: «Ghiaia». C'è chi mi consiglia Melita (per ovvi motivi se conoscete i discorsi dei pescatori e soprattutto del Gambino) ma io preferisco qualcosa di più "profondo". Sarà quindi Ghiaia.
«Ndèm a lèt, che domani ci dobbiamo alzare presto per smontare». Silvio porta un po' di saggezza che contrasta l'ebbrezza di una pescata memorabile. In effetti si dorme bene, c'è la temperatura giusta, ma poi... biiiiiip! Jackpot sulle mie canne con la partenza sulla canna centrale, quella che ho spostato prima dell'ultima notte. Anche in questo caso il combattimento è tosto (le carpe di Viverone sono dopate?!), ma va a buon fine: il pesce è allamato bene ma... non nel labbro inferiore. Che sia la frenesia? Sì, molto probabilmente lo è. E la conferma ci arriva un paio d'ore dopo, quando togliamo i pesci uno per uno dalle sacche: a differenza dei giorni precedenti, sono piene di esche digerite. Piene zeppe. Abbondare, esagerare, evidentemente ha pagato. Forse è per questo che ne abbiamo prese di più proprio l'ultima notte...
Torniamo in branda e ci addormentiamo come bambini. La sveglia è alle 7, la sentiamo ma continuiamo a dormire. Veniamo sollecitati dai giudici, c'è da pesare la specchi! Non ci sono speranze di classifica, almeno per i primi quattro posti, anzi, cinque: la più grossa, l'ennesima over 20 (24,6 chili), viene presa a dieci minuti dalla fine dell'enduro, e supera una common di 24,4 chili. Niente aspettative, ok, ma la soddisfazione è enorme. Il cielo è grigio, carico di pioggia, ma noi dentro siamo in technicolor. C'è poco da spiegare: come reagireste voi se finiste per il terzo anno di fila in una delle postazioni che nessuno vuole, famigerata per essere difficile, poco generosa e ostica, e prendeste tutti i pesci che abbiamo poi preso noi? Incredulità, perché se ce lo avessero detto prima avremmo messo la firma. Carica, perché in fin dei conti abbiamo pescato come sappiamo e i risultati si sono visti. Pazzia, perché in fin dei conti la strategia che abbiamo impiegato è stata assurda e ha tralasciato, in partenza, due interi settori dello spot (corta e media distanza).
Forse saremo esagerati, ma siamo felici. Il lago ha riequilibrato il destino, ci ha ridato con gli interessi ciò che ci aveva tolto a me due e a Silvio tre anni fa. Pazienza se la "big delle big" non è arrivata, perché noi l'avevamo detto in partenza: meglio una sessione con tanti pesci, anche piccoli, che quattro giorni di avvisatori muti e un pescione preso più per fondello che per bravura. Noi la pensiamo così. Certo, non abbiamo vinto le meravigliose canne messe in palio da Rod Hutchinson (che fino a due giorni prima doveva essere della gara, sarebbe stato splendido!), pezzi unici con la scritta sul grezzo "Viverone Lake 2012", ma va bene così. Ci sentiamo vincitori anche arrivando sesti e gustandoci due buone bottiglie di vino messe in palio all'ultimo minuto, per i quinti e i sesti, dal Bar La Rocca. Ecco, questo è il bello: sentire di aver vinto la battaglia con se stessi. Con la giusta compagnia, con le solite risate, con la convinzione che questa non sarà l'ultima. Bello vivere la pesca così. A modo nostro, nel nostro modo.
Chiosa speciale. Un grazie ENORME a Roberto e ai ragazzi della Brigata. Le parole che mi avete detto alla fine del pranzo, prima di salutarmi, mi hanno commosso. Grazie. Davvero. Grazie!
Nessun commento:
Posta un commento