martedì 6 ottobre 2009
[Guardialfiera] Fango
Il report completo della pescata a Guardialfiera arriverà tra qualche giorno. Nel frattempo, ecco qualche spicciolo della nostra esperienza.
Partiamo dal compagno più "caro" che abbiamo avuto con noi questo weekend: il fango.
"Mota", lo chiamano in Toscana, nelle zone dove abita la mia dolce metà. «Mota»: sentite come suona bene? Rotondo, liquido, colloso. Proprio come il fango che abbiamo dovuto affrontare in questi tre giorni. Ce lo aspettavamo, ma fino a un certo punto. Quando siamo arrivati le sponde del lago ricordavano quelle del Nilo. La terra secca spaccata in un reticolo a 'mo di deserto. Poi lo scroscio di pioggia ed ecco la palude. La terra si è trasformata in un budino di argilla, ha cominciato a inghiottire i nostri stivali (anche fino al ginocchio) e, soprattutto, ad appiccicarvisi: mi spostavo con almeno 2 chili di fango per piede in più... altro che allenamento nella sabbia come il Milan in ritiro in Sardegna! Anche Davide faticava, ma un po' meno: il jolly sono stati gli stivali con la suola in peltro, per intenderci quelli "pelosi" per muoversi sui ghiareti dei torrenti senza scivolare. Non sappiamo perché, ma a questi stivali il fango non si attaccava.
Difficoltà a muoversi e anche difficoltà a tenere pulite le cose. Il fango era ovunque, fuori la tenda come dentro. E pure nel cibo, a volte. Più camminavamo, più il fondo diventava molle. Come si vede dalla foto, il terreno rimestato dai nostri piedi era un blob che ci inghiottiva. Davanti alle tende abbiamo costruito due passerelle di sassi, ma abbiamo avuto bisogno di almeno 4 strati!
Quando ti capitano situazioni così, non sogni altro che una doccia. E speri anche che i pesci non partano uno dietro l'altro in piena notte per non doverti mettere i waders (obbligatori in queste condizioni!), correre goffo alle canne sperando di non scivolare, per poi rilanciare, togliere gli stivali e rimetterli un quarto d'ora dopo.
Alla fine, però, ti senti interprete di una grande impresa. Capisci che ce l'hai fatta, che hai pagato dazio al lago che a sua volta ti ha donato qualcuna delle sue creature. Quando stringi una carpetta davanti alla macchina fotografica, quando le gambe sono sotto un tavolo e si parla di pesca, e quando lo sguardo non tiene la corsa del paesaggio che cambia fuori dal finestrino, tutto è già passato. «Ecco che ne vale la pena», ti viene da dire. Perché è proprio così, un'emozione. Sporca, nessuno lo mette in dubbio, ma unica nel suo genere. Chiedetelo a quelli che sognano tanto la Foret d'Orient...
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